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Non so come mai, ma il gatto era fuori del sacco anche prima di avere io stesso tutti i dettagli. Un'ordinanza del Tribunale di Milano ha confermato, con una motivazione insolitamente dettagliata, un’altra ordinanza dello stesso Tribunale e ha imposto a Google di filtrare alcuni “suggerimenti di ricerca” ritenuti potenzialmente calunniosi. Sono l’avvocato principale della controversia, quindi è per me inappropriato entrare nei dettagli e commentare l’ordinanza. Tutto ciò che ho da dire è che non si tratta affatto di richiesta di censura, come ho fatto notare con largo anticipo alla società citata in giudizio, in quanto le allegazioni del denunciante sono state pienamente discusse prima di procedere in tribunale, e le richieste erano e rimangono solo per due interventi eccezionali. Tutti i casi sono diversi, quindi non vi è alcuna garanzia che casi simili possano portare allo stesso risultato.

Sarei falsamente modesto se dicessi che non sono contento che le nostre istanze sono state interamente accolte da un collegio di tre giudici altamente qualificati. I fatti sono semplici e ben descritti nell’ordinanza. In pratica, digitando nel campo di ricerca Google “Nome Cognome” del mio cliente, il completamento automatico e i “suggerimenti di ricerca” offerti (ora “ricerche correlate”) si completavano con “truffatore” e “truffa”, e ciò ha causato diversi problemi per il cliente, che ha un immagine pubblica sia come imprenditore che come fornitore di servizi educativi nel campo della finanza personale. Google ha sostenuto che non poteva essere ritenuta responsabile in quanto è un “hosting provider”, ma abbiamo dimostrato che si tratta di contenuti prodotti da loro anche attraverso strumenti automatizzati (per inciso, di sicuro alcuni contenuti vengono filtrati, compresi i termini che sono noti per essere utilizzati per distribuire materiale che viola il diritto d’autore). Quindi, in questo caso, il motore di ricerca non può avvalersi dell’esimente della disposizione della Direttiva Ecommerce.